Impronte Sonore

Box for Crying Place

1989

© Eric Andersen  

L’opera è una vera e propria “scultura trasportabile” costituita da una scatola in mogano contente una pietra e accessori vari per accompagnare questo specifico rituale dedicato al pianto: delle cuffie, un lettore per una cassetta contenente una musica malinconica e una spazzola per lucidare la Pietra. Pietra, quest’ultima, definita per l’appunto del Pianto, che idealmente si sarebbe dovuta riempire di lacrime attraverso i fori di cui è composta. L’opera era pensata, ironicamente, per essere trasportata al collo mentre si ascoltava il brano, in una sorta di auto-afflizione generata sia dallo stato d’animo del portatore di pietra sia dal peso specifico della struttura.
Nell’opera di Andersen si ha una interessante relazione tra la potenza evocativa di una sonorità costruita , pensata e determinata, come quella che emerge dalla riproduzione della cassetta, e una espressività acustica, genuina e incontrollata, generata dal e nel pianto. L’atto del piangere (così come quello del riso) è una delle poche manifestazioni umane che fa nettamente corrispondere a delle determinate sonorità degli stati d’animo specifici, pur nell’opacità delle sue interpretazioni (non si può infatti sapere a priori se un pianto è determinato da gioia, rabbia o frustrazione). Nella atipica musicalità del pianto, si ritrova così l’essenza dell’essere umano in sé, nella sua duplice natura corporea e spirituale, come affermato dal filosofo Helmuth Plessner. L’invito di Andersen è dunque di esplorare questa dimensione, in cui ognuno porta con sé la propria Pietra del Pianto.

Audio: https://soundcloud.com/recitalprogram/r65-eric-andersen?utm_source=www.recitalprogram.com&utm_campaign=wtshare&utm_medium=widget&utm_content=https%253A%252F%252Fsoundcloud.com%252Frecitalprogram%252Fr65-eric-andersen

Courtesy: Giammarino Battistella

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